martedì 16 aprile 2019

Cividale Longobarda - commento alle opere



L´ARTE DEI LONGOBARDI VISTA DA KATIA BRUGNOLO
commento alle opere del Mons.Francesco Gasparini direttore del museo Diocesano di Vicenza
Ancora una volta Katia Brugnolo si sfida, in un confronto impegnativo, stavolta – dopo quello con i Tiepolo a Villa Valmarana ai Nani di Vicenza – con l’arte dei Longobardi e proprio in casa loro.
Cividale del Friuli è senza dubbio uno dei luoghi dove si respira in maniera affascinante la presenza dei Longobardi  che dalla Pannonia dal 568 al 774 hanno dominato gran parte della nostra penisola lasciando tracce indelebili, suggestioni che per troppo tempo sono state considerate marginali.
L’arte dei Longobardi dal VII secolo, si definisce in un linguaggio autonomo, in una sintesi di elementi della tradizione barbarica, latina e bizantina con prevalenza di motivi stilizzati o astratti.
E questo nei vari campi: architettonico, figurativo, pittorico e di oreficeria.
Nelle opere che la Brugnolo presenta, vediamo che la nostra artista ha studiato, ruminato e meditato le opere presenti a Cividale, che si è impegnata a rileggere e ripresentare.
Dopo averle assimilate, meditate, le riformula in un linguaggio inconsueto e dinamico, che conserva la suggestione dell’antico e nella loro realizzazione, le forme sempre imperfette, sono quasi a ricordarci che c’è bisogno di indagare e scoprire ancora il messaggio che questo popolo ci ha lasciato, cercando di entrare entro una stagione artistica, culturale e politica dell’Italia, che ancora si presenta con i contorni non sempre definiti.
Katia ci presenta nelle sue opere alcune di quelle caratteristiche che hanno segnato la scultura di epoca longobarda: la bidimensionalità, (quasi mai c’è la scultura a tutto tondo, ma piuttosto una lavorazione a bassorilievo); l’horror vacui, termine stilistico che significa letteralmente “paura del vuoto” ed è quella tendenza estetica che vuole riempire tutti gli spazi possibili della superficie delle sculture, con motivi decorativi.


1 Nel suo TIMPANO DI CIBORIO (memento di quello presente al Museo Cristiano) vediamo che gli spazi sono tutti riempiti e questo per farci ricordare questo gusto dei Longobardi che tutto fosse riempito, in un continuo richiamo di simboli che si spiegano reciprocamente e nello stesso tempo diventano discorso che porta verso l’oltre, quasi il prodotto di una moltiplicazione degli stessi.



2. Dall’ALTARE DEL DUCA RATCHIS (737-744), uno di monumenti più importanti della rinascenza liutprandea, il Cristo in maestà si colloca nel prospetto frontale dell’altare ed è stato realizzato con la tecnica del bassorilievo. Cristo (Maiestas Domini) ascende in cielo all’interno di una mandorla arborea, sorretta da quattro angeli nei quali l’iconografia dei cherubini si contamina con quella dei serafini.
In origine questa lastra era impreziosita da policromie, paste vitree e lamine d’oro (che una interessantissima presentazione al museo ci permette di gustare).
Le figure bidimensionali, marcatamente stilizzate, presentano un netto distacco della parte scolpita rispetto allo sfondo, come un disegno a rilievo. La nostra artista non teme di confrontarsi con questa lastra in due pezzi significativi: il volto di Cristo, imberbe, a dirci l’eterna giovinezza della sua divinità, sereno, con la mano del Padre che dall’alto scende a dire che è il Figlio dell’Eterno, arricchito dalla delicatezza dei colori, contornato dalla mandorla arborea, con le stelle ai lati. Il Cristo, nel potere regale donatogli direttamente da Dio (la mano superiore), è collocato dentro la mandorla che simboleggia la gloria divina, ed è accompagnato dagli angeli.



Dallo stesso altare, Katia si lascia suggestionare dall’angelo, collocato entro una conchiglia che richiama ancestrali significati legati alla vita e alla vita, accompagnato da stelle, croce e fiori, in quell’abbondanza figurativa che ritroviamo nell’arte di questo popolo strepitoso. L’azzurro che segna le curvature della conchiglia rimandano al Cielo e alla ricerca della pace eterna che significano gli esseri celesti.
Nel retro di questo altare campeggiano due potenti croci.  Anche questi simboli cristiani hanno colpito la nostra autrice, che ne ripresenta una con la magnificenza dei contorni a gomitolo su sfondo rosso mattone e con l’interno della croce impreziosito da dorature e dal simbolo centrale che ricorda sia la luce che Cristo ha portato con la sua risurrezione, sia l’immortalità, nel richiamo della beatitudine del Paradiso.
Abbiamo in questa ricerca un trionfo di figure stilizzate e prive di riferimenti spaziali. Sintetici rimandi a un Oltre che prorompe da ogni opera.



3. Il REPERTORIO FORMALE DEI LONGOBARDI era costituito dall’ accostamento di elementi zoomorfi fortemente stilizzati e di elementi geometrici, come vediamo nel fonte battesimale del patriarca Callisto (730-740). Gli archi sono adornati da iscrizioni e da motivi vegetali, animali e geometrici.
Ed ecco che Katia si sperimenta in un confronto con uno di questi archi decorati del battistero, riproponendo i due pavoni con la croce centrale, a dire che la croce è la sorgente dell’immortalità e della vita eterna, simboleggiata dai pavoni. Il tutto su uno sfondo bianco che rende ancora più forte questo messaggio di risurrezione.



4. LA NOSTRA ARTISTA sposta poi la sua attenzione al Tempietto di Santa Maria in Valle che risale all’VIII secolo, di forma rettangolare, mirabile per gli stucchi.
Lo stucco longobardo, realizzato da calce, polvere di marmo e acqua, (memori di un’arte romana che ha realizzato con questo materiale capolavori) ci aiuta a capire come con mezzi che possono essere considerati poveri, i Longobardi testimoniano la loro civiltà in Italia, ancora oggi.
La parte più interessante è comunque il fregio al livello superiore, dove si trovano sei figure a rilievo di Sante, eccezionalmente ben conservate: le loro monumentali figure sono da collegare ai modelli classici bizantini, riletti secondo la cultura longobarda. Non può non riemergere alla memoria la teoria di sante martiri della basilica di S. Apollinare Nuovo di Ravenna, con le martiri coronate da corone preziose e con le corone di alloro nelle loro mani. I panneggi delle vesti, che dovevano essere riccamente decorate, hanno un andamento accentuatamente rettilineo, che ricorda i modelli  bizantini, dai quali però le Sante si distaccano per il maggior senso del volume e per il verticalismo, ulteriormente marcato dalla lunghezza delle pieghe delle tuniche. Anche i volti intensi di queste
donne rimandano ad altre maestranze arrivate a Cividale: basta confrontare i volti di queste vergini con quelli della Vergine Maria e di sant’Elisabetta che nell’altare di Ratchis sono raffigurate nella Visitazione.
E sono ben tre le immagini che scaturiscono dall’incanto e dalla contemplazione di queste Sante che l’artista ci presenta. Le pensa impreziosite con l’oro, quasi imperscrutabili nelle loro espressioni eterne, sovranamente distaccate dalle nostre vicende umane, incorniciate dal velo, con le mani composte, con la croce che ne delinea la fede profonda e totale. Katia le trasporta sui lidi dell’eternità, dove il tempo si trasfigura nei “cieli nuovi e terra nuova”. È una diversa linearità astrattizzante, giocata su immagini reali, che ci conduce pian piano verso orizzonti infiniti.
Non voglio tacere l’uso dell’oro da parte della nostra artista, che ci parla di luce, recuperando la straordinaria oreficeria dei Longobardi, oro che ci porta ad ammirare con infinita suggestione e delicatezza la ricerca del bello e dell’eterno che ha contraddistinto questo popolo (come possiamo ampiamente ammirare nel Museo Cristiano).
Carissima Katia, credo che l’intento di immergerci in questo mondo longobardo, con l’esperienza maturata nella tua contemplazione dell’arte di questo popolo sia riuscita.
Nel linguaggio delicato e sommamente efficace delle tue opere, ci hai riportati a quel mondo di cambiamenti e di nuove prospettive che veniva a sorgere da un mondo distrutto (quello dell’Impero Romano), dove i Longobardi si sono impegnati presentando nuovi stilemi e nuove forme di bellezza.
Un po’ come il nostro tempo che ricerca nuovi linguaggi e nuove espressioni.

Mons.Francesco Gasparini
direttore del museo Diocesano di Vicenza

via Candotti 3 a destra del duomo a Cividale del Friuli
ENTRATA LIBERA
Queste e tutte le altre opere rimangono esposte sino al 12 maggio dalle ore 11 alle 13 e dalle 16 alle 19 
sabati, domeniche e festivi

per info 333 414 7250

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